Ci eravamo tanto amati…
Croce e delizia. Per chi ha la fortunà, l’onore ma soprattutto l’onere di condurre e accompagnare in competizione dei ragazzi, degli studenti o semplicemente dei compagni di allenamento il confronto con la classe arbitrale, e in particolare con l’arbitro di tappeto si traduce spesso in un rapporto conflittuale, ed a volte insanabile, fatto di alti e bassi e sottoposto alle alternanze della sorte.
L’Arbitro rappresenta il parafulmine naturale di tutte le nostre invettive, il catalizzatore di tutte le nostre frustrazioni quando gli eventi prendono una svolta indesiderata, ed in generale il bersaglio naturale di ogni recriminazione.
Non dovrebbe essere nemmeno lontanamente necessario, tra persone ragionevoli e civili, ricordare quanta importanza e quanto rispetto dovremmo indirizzare verso chi, prestando la sua opera spesso non meno faticosa della nostra, permette il normale svolgimento di un contesto competitivo regolato, che altrimenti non potrebbe essere. Purtroppo però la realtà è spesso differente e tutti, nessuno escluso, si saranno trovati a perdere la voce prima incitando un compagno di lotta, e poi l’arbitro, magari usando epiteti non proprio signorili.
Una delle cose più difficili da imparare per un Coach è come comunicare ed interagire in maniera appropriata con l’arbitro, ma è importante che questo avvenga, in quanto Coach e Arbitro rappresentano, per l’atleta impegnato nella prestazione agonistica, i due poli di equilibrio attorno ai quali si scaricano virtualmente le tensioni del gesto lottatorio.
Come abbiamo anticipato, gli arbitri sono parte INTEGRANTE del momento agonistico, è quindi imprescindibile per un Coach serio usare i dovuti accorgimenti al momento, e quella che io amo definire “un’etichetta” di tatami adatta al contesto.
Costruire delle relazioni amichevoli con gli arbitri che incontreremo durante le competizioni non ha nulla a che fare con la ruffianeria: gli arbitri che incontriamo nel torneo odierno sono gli stessi che incontreremo la settimana prossima, al prossimo torneo e magari durante tutta la stagione agonistica e/o le prossime a venire. Essi meritano lo stesso rispetto, educazione e considerazione che diamo ai coach delle altre squadre ed ai nostri avversari.
Costruire rapporti basati sul reciproco rispetto, sull’amicizia e sulla considerazione reciproca è la base fondamentale per il corretto sviluppo dell’ambito sportivo nel quale operiamo, a tutti i livelli: siamo tutti sulla stessa barca, e lavoriamo in settori diversi per amore dello stesso sport.
E’ facilmente intuibile come un Arbitro che percepisca nei suoi confronti comprensione, RISPETTO, ed educazione sia predisposto a stabilire un rapporto di reciprocità ed equità con il Coach, e, sempre nel rispetto delle precipue competenze e ruoli, sia magari disposto a considerare, durante e dopo il match opinioni, critiche costruttive e magari a riconsiderare una decisione poco felice, qualora ce ne siano i presupposti.
L’esperienza e la storia recente, anche di competizioni di altissimo livello, ci hanno purtroppo abituato a scene da Far West, che tristemente stanno contagiando anche sport Lottatori tradizionalmente basati sul rispetto dei propri avversari e dell’Arbitro. A volte l’esasperazione dei lottatori e degli allenatori è dovuta alla mancanza di competenza della classe arbitrale, formata in fretta e furia e con approssimazione da Federazioni più attente ai numeri che alla qualità degli eventi che organizzano, molto più raramente a veri episodi di volontaria malafede, ma questo non giustifica mai il lottatore ed il suo Coach quando si lascia andare a scene poco dignitose.
Inoltre c’è da considerare che l’arbitraggio è un compito molto stressante, visto che l’arbitro è sottoposto continuamente alla pressione ed alle contestazioni del pubblico, di tifosi/parenti/amici dei lottatori, dei coach ed infine dei lottatori stessi, oltre che sottoposto al giudizio ed alla valutazione dei propri colleghi e dei responsabili della Federazione. Sono aspetti che vanno considerati con la dovuta attenzione.
Dobbiamo sempre essere un ESEMPIO.
Esempio di dignità, correttezza ed educazione per i nostri compagni, studenti ed avversari, anche quando una decisione ci sia ingiustificatamente avversa. Inoltre non ci scordiamo che un coach che mostra scarso rispetto verso gli arbitri, gli atleti ed i coach avversari, non potrà poi lamentarsi se un giorno sarà pagato con la stessa moneta dai suoi atleti: chi semina, raccoglie.
Lasciamo quindi lavorare gli arbitri il più serenamente possibile, che non significa manifestare eccessiva indulgenza nei confronti di eventuali errori o negligenze, ma significa mantenere il più possibile un atteggiamento di considerazione e moderazione che contribuisca a creare un clima più rilassato e disteso: se ci saranno delle contestazioni queste andranno fatte sempre dal coach (e mai da parenti, amici o compagni di allenamento), nelle modalità previste dal regolamento.
Questo non va inteso come una rinuncia delle proprie prerogative, anzi: qualora si ravvisi pericolo per l’incolumità di uno dei due lottatori questo andrà tempestivamente comunicato, così come ritengo lecito far notare all’arbitro qualcosa che magari puo’ essergli sfuggito per via magari di un suo posizionamento sfavorevole, l’importante è farlo con la dovuta educazione. Lo stesso vale per eventuali contestazioni che dovessero seguire un verdetto favorevole: avvelenare il clima della gara per una decisione che ormai non può più essere capovolto oltre ad essere inutile è anche poco dignitoso, sarà sicuramente più costruttivo avvicinarsi al tavolo di giuria o chiarirsi pacatamente con l’arbitro a fine match, mostrando un atteggiamento costruttivo che sarà utile ad entrambi, e seguendo sempre una linea dettata dal contegno.
Interrompere la serenità del match fuori dagli spazi consentiti e previsti può avere solo l’effetto deleterio di turbare la concentrazione degli atleti e pregiudicarne l’esito.
Conoscere il regolamento!
Non credo si possa avere un comportamento peggiore, per un atleta e per un coach, di quello di chi palesemente ignora i fondamenti del regolamento di gara. Personalmente lo considero un atto inqualificabile, perchè, oltre alle evidenti implicazioni tattiche e strategiche finalizzate al raggiungimento della vittoria, rappresenta anche la causa più frequente di incomprensioni e contestazioni inutili.
Non conoscere il regolamento significa non mostrare alcun rispetto e considerazione per lo sport a cui si decide di partecipare, per l’arbitro e per il suo lavoro, ed in definitiva per sè stessi.
Possono sorgere in ogni momento differenti interpretazioni del regolamento, ma ignorarlo o consocerlo in maniera approssimativa rappresenta un esempio di maleducazione ed ignoranza inaccettabile.
Prima di ogni reclamo dovremmo essere sempre sicuri di conoscere adeguatamente il regolamento!
Conclusioni e riflessioni
Personalmente tendo a credere nel valore formativo ed educativo delle nostre discipline lottatorie, attribuendo ad esse un’energia creativa ovvero una vera e propria arte nella formazione della volontà e del carattere del praticante. E’ quindi lecito attendersi da chi si impegna nell’acquisisire e nel forgiare virtù morali e forza di volontà che in ogni momento della sua pratica quotidiana, ed in special modo nel momento della competizione che ne rappresenta la vetrina per eccellenza ed il vero banco di prova, egli mostri un’adesione coerente ad un’etichetta e ad un’educazione non scritta ed implicita basata sul rispetto e sulla lealtà. Ed il confronto con il giudizio arbitrale non deve rappresentare un’eccezione.
Daltronde è anche vero che troppo spesso la pazienza e la buona volontà dei tecnici e degli atleti vengono sottoposte a dura prova.
La classe arbitrale, a mio avviso, è la prima custode e depositaria della legittimità, della credibilità e della reputazione di una Federazione.
Se una Federazione sportiva ambisce a fondare la sua credibilità su fatti concreti non può esimersi dall’investire in maniera concreta e continuativa nella formazione di una classe arbitrale di alto livello, seria, preparata e competente: la regolarizzazione di una disciplina è il fondamento della sua sportivizzazione, e lo sport senza regole certe non è.
Ma una volta che queste regole sono date, è necessario anche saperle interpretare e applicare, ed in questo caso la parola d’ordine è FORMAZIONE.
Il rapporto quindi tra atleta, tecnici e arbitri deve necessariamente essere indirizzato dall’attegiamento vigile delle Federazioni verso un clima di reciproca costruttività e sviluppo, e che ne divengono quindi dirette responsabili.